Il Ciclope

Teatro Antico – 2 agosto, ore 19.15
Di Euripide

Regia: ANGELO CAMPOLO

Con:
EDORADO SIRAVO, Giovanni Moschella, Eugenio Papalia
E con:
Patrizia Ajello, Michele Falica, Francesco Natoli e Tony Scarfì
Drammaturgia:Filippo Amoroso
Musiche Originali: Marco Betta

Note:
Chi sono oggi i “primitivi” ? Da dove arrivano coloro che minacciano il nostro ordine costituito? Dal mare? Da altre terre? Che lingua parlano? Sono stranieri con i quali non abbiamo nulla a che fare o forse lontani “parenti”, più simili a noi di quanto pensiamo? È per me inevitabile affrontare l’opera di Euripide avendo in mente questo tipo di domande. Nascono nell’ambito di un più ampio percorso artistico, costruito grazie agli incontri con i giovani migranti dei centri di accoglienza, i laboratori e gli spettacoli, che negli ultimi anni ha caratterizzato il lavoro del gruppo Daf in relazione allo studio e all’analisi dei rapporti tra noi e l’arrivo degli stranieri. Lontano da un approccio “pietistico”, men che meno tragico, o dalla tentazione di operare una facile “attualizzazione” del testo, credo che l’irriverenza e la forza archetipica dell’opera di Euripide possano trovare un canale di comunicazione diretto con la nostra contemporaneità. L’unico dramma satiresco a noi giunto per intero, infatti, “gioca” con un pubblico abituato, come noi, a vedere in Polifemo una creatura mostruosa e bestiale, come tradizione omerica insegna. L’orco, il cannibale con un solo occhio, incontra tra i crateri dell’Etna, l’astuzia e il coraggio di Ulisse che gli saranno fatali. Ma nella versione di Euripide questo pregiudizio viene disinnescato e Polifemo appare sì come creatura selvaggia, ma perfettamente consapevole della sua condizione. Alla lezione di “civiltà” impartita dall’eroe di Itaca, il ciclope risponde a tono, da allievo della sofistica, contrapponendo la sua personale filosofia della pancia. “Il denaro, omiciattolo, è il dio dei saggi. Tutto il resto sono chiacchiere e belle parole. Io me ne infischio! Mangiare e bere giorno per giorno: questo è il mio sommo dio”. I miti sono caduti e il “barbaro” diventa una figura degenerata della civiltà occidentale, lo specchio deformante di un sistema di valori che, altrove costruito, ora sta cadendo in pezzi. I codici espressivi si mescolano, poesia alta e bassa si alternano in un clima di volta in volta spaventoso, divertente e tragicomico. La contaminazione di riferimenti culturali, mi porta a immaginare un’ambientazione simile agli scenari di certo cinema di fantascienza per adulti, dove il cortocircuito tra passato e presente innesca una nuova carica sperimentale che permette di “giocare” con la prospettiva rovesciata del Noi e dell’Altro sovvertendo tutte le certezze dei discorsi “civilizzatori” tradizionali. Non ci sono più buoni né cattivi, dei o mostri che spaventino, ma solo creature umane che fanno i conti con le proprie paure, le debolezze e i desideri. Dioniso stesso si manifesta, per Sileno e i suoi satiri, come il ricordo di un passato lontano da rimpiangere, mentre “il grande occhio” del gigante, incapace di guardare oltre i propri bisogni, si spegne al grido del celebre “Nessuno mi uccide!” con la consapevolezza di chi va incontro ad un destino già scritto. Per lui il buio profondo della solitudine di chi resta ai margini del mondo. Straniero per scelta, condanna o volere del fato.

Foto spettacolo