Dionisiache, #anamericandrem vincitore del premio Cendic
Questa sera, alle 21.30, all’ex Convento di San Francesco in via XV maggio a Calatafimi Segesta, #anamericandream, di Sergio Casesi, vincitore del premio Cendic terza edizione, con la regia di Mauro Avogadro. Un nuovo appuntamento nel cartellone del Calatafimi Segesta Festival – Dionisiache 2018, la manifestazione organizzata dal Comune di Calatafimi Segesta col Parco Archeologico di Segesta e la direzione artistica di Nicasio Anzelmo. Interpreti
Martino D’Amico, Lorenzo Iacona, Sabrina Scuccimarra, Carlotta Visconvo, Dario Battaglia, e Riccardo Rizzo.
Note di Sergio Casesi:
#An American Dream è teatro ad orologeria.
Due coppie sono pronte ad innescarsi ed esplodere ripercorrendo le strade di un passato mai condiviso. Tom, scrittore di successo, vive in un lussuoso appartamento di New York con la sua compagna, Allie, curatrice di mostre. Grazie ai social vengono avvicinati da una lontana parente del Michigan, la miserabile Liv accompagnata dal marito Albert. I motivi della loro visita non sono però quelli dichiarati. Giustizia contro ingiustizia, rivalsa contro senso di pietà, pace dell’animo contro vendetta: nell’esplosione del gioco teatrale il passato sembra attraversare le coscienze e i cuori dei personaggi travolgendo ogni cosa, ogni legame, ogni situazione.
Ma forse non tutto è come appare.
Forse ciò che abbiamo visto non è reale. O lo è in un altro luogo, in un altro tempo.
Nel privato momento dell’immaginario, dove si origina ogni creazione artistica.
Teatro a orologeria. Un bolero a Manhattan. Un gioco al massacro costruito su un crescendo che sembra infinito ma che,a ogni giro di giostra, riporta un passato mai passato. Mai condiviso. Mai analizzato.Scrivendo #AnAmericanDream ho cercato di riflettere sulla società di oggi, sul nostro aspro mondo, dove il concetto di giustizia sociale viene dimenticato per veder diffondersi il più
nefasto “farsi giustizia da sé”. Un’epoca, la nostra, che mescola cause ed effetti; che resta in superficie e non coglie mai la complessità delle cose, riaprendo così la strada alla violenza
come mezzo politico ed esistenziale. Mi è stato chiesto perché ho ambientato questo dramma a Manhattan e non a Milano o a Roma. Il motivo è che New York e tutta l’America sono per noi, oggi, luoghi dell’immaginario e del mito: dove eroismo, disparità, fantasia, opportunità e nefandezza dell’animo, possono coesistere e darsi battaglia. Per un europeo, ambientare un testo a Manhattan vuol dire scrivere nell’immaginario collettivo.
Vuol dire avere la libertà di affrontare la modernità come si affronta il mito. Si può farlo di sicuro anche con un’ambientazione italiana, ma non per la drammaturgia in questione. Credo che la storia di Tom, Allie, Liv e Albert valga, certo, per ogni luogo; ma sono anche convinto che solo nella nostra America immaginaria i fatti raccontati possono essere percepiti dallo spettatore come veri.
E poi cosa c’è di più mitico del “sogno americano”? Quanti milioni di persone l’hanno inseguito e lo rincorrono ancora oggi? E quanto di quel sogno è entrato nelle nostre vite? Nelle nostre scelte e abitudini? Quanto di quel sogno viene narrato dal mosaico giornaliero delle nostre odierne pagine social? Eppure “connesso” non vuol dire solo legato, congiunto ad altre parti. Qual è, appunto, il nesso fra i miliardi di persone in contatto su internet? Davvero è sufficiente quello che ci dà il nostro device per non essere soli? Per essere appetibili sul lavoro? Per essere interessanti come persone? E nel nostro pianeta, ora abitato da questi strani alieni, che succede se il nesso è invece qualcosa di atroce o di malvagio? Di indicibile sui social, di indescrivibile se non fra persone vere, occhi negli occhi, mani nelle mani?
Si scopre così di essere all’improvviso troppo piccoli per i grandi e complessi problemi umani. Mentre le persone più sfortunate, esiliate nella propria terra, sono forse sempre in contatto con chi invece – per fortuna o percapacità – si trova in una situazione di privilegio. Ma non c’è vera empatia, non c’è traccia di pietà. Di sicuro nessuna autentica solidarietà. C’è rancore, incomprensione, rabbia, delusione. In sostanza incomunicabilità.
#AnAmericanDream non è teatro politico. Vuole essere teatro puro, nuovo, comunicativo, non arroccato su stratagemmi intellettuali velleitari e sterili. Vuole essere un teatro per tutti ma di grande portata: vivo, nutrito dall’immaginario che oggi imperversa nelle nostre menti e ci guida. Per me è importante l’idea di contribuire a fare un teatro del nostro tempo. Con una parola scritta che descriva l’epoca, troppo amara, in cui siamo immersi. Pertanto ho immaginato e scritto intorno allo scrittore di successo Tom e alla sua compagna Allie che, grazie a un contatto via social network, ricevono una visita nel loro lussuoso appartamento di New York da parte della cugina
Liv, appena emigrata con Albert da una città deindustrializzata e impoverita del Michigan.
Un incontro denso di implicazioni e motivi annidati in epoche lontane: giustizia contro ingiustizia, rivalsa controsenso di pietà, pace dell’animo contro vendetta. Nell’esplosione del gioco teatrale, il passato sembra attraversare le coscienze e i cuori dei personaggi travolgendo ogni cosa, legame e situazione.Ma, forse, non tutto è come appare. Forse una via di scampo, per noi tutti, c’è ancora. Una via creativa alla libertà è ancora percorribile”.

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